Tra castagneti e muretti a secco che caratterizzano le pendici dell’Etna, i noccioleti stanno tornando a modellare il paesaggio. Dopo anni di oblio, la corilicoltura etnea vive una fase di rilancio grazie al progetto per il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta “Nocciola Etnea”, iniziativa che punta a valorizzare un frutto dalle caratteristiche uniche e profondamente radicato nel territorio.
Produttori, istituzioni e consorzi hanno dato vita a un comitato promotore per certificare l’origine e il valore della nocciola coltivata sul versante orientale e nord-orientale del vulcano. L’obiettivo è tutelare un prodotto dalle qualità distintive – profumo intenso, gusto equilibrato, croccantezza e ottima pelabilità – risultato di un ambiente irripetibile.
«La nostra nocciola è superiore dal punto di vista aromatico grazie alle caratteristiche dei suoli lavici su cui cresce e al microclima più umido», spiega Gaetano Aprile, presidente della OP Sicilia in Guscio, l’organizzazione nata nel 2023 che riunisce circa 25 aziende su 450 ettari tra Etna e Nebrodi. La DOP, oltre a essere un riconoscimento di pregio, rappresenta una leva economica e un argine contro le imitazioni.
L’espansione produttiva
Il nucleo produttivo della nocciola etnea si sviluppa da Sant’Alfio a Castiglione di Sicilia, attraversando Mascali, Linguaglossa, Milo e Piedimonte Etneo. In questa fascia di colline laviche, dove la varietà locale “Caraffara” trova il suo habitat ideale, la superficie coltivata ha registrato negli ultimi anni una crescita superiore al 5%.
La raccolta, un tempo eseguita manualmente, è ora meccanizzata, rendendo sostenibile una produzione che in passato aveva subito la concorrenza della nocciola turca.
Il dono del vulcano
Le peculiarità della nocciola etnea derivano dall’interazione tra suolo, clima e varietà. Il terreno lavico, ricco di minerali, influisce sull’aroma e sulla dolcezza del frutto. Le correnti umide provenienti dal mare Ionio, infrangendosi contro la montagna, creano un microclima più piovoso che favorisce una vegetazione rigogliosa, riducendo lo stress idrico.
A ciò si aggiunge la sanità del prodotto: qui la cimice asiatica, che al Nord danneggia molte coltivazioni, è quasi assente. Anche la pelabilità naturale del seme dopo la tostatura, caratteristica molto apprezzata dai trasformatori, contribuisce al valore del prodotto.
La “Caraffara”, nocciola di pezzatura medio-piccola e profumo intenso, garantisce rese medie tra i 30 e i 40 quintali per ettaro. Se il Piemonte resta il riferimento in termini quantitativi, la nocciola etnea recupera in qualità e prezzo finale, grazie alla trasformazione locale.
Il valore della trasformazione
Il vero salto di qualità risiede nella filiera corta. Una nocciola in guscio vale oggi circa 3 euro al chilo, ma una volta trasformata in farina, pasta o granella può raggiungere i 18-20 euro al chilo. La OP Sicilia in Guscio sta investendo nella lavorazione in loco e nella creazione di prodotti semilavorati destinati a pasticcerie e cioccolaterie, che apprezzano le sfumature aromatiche “calde” e naturali della nocciola etnea.
Quasi tutte le aziende operano in biologico certificato, utilizzando concimazioni organiche e pratiche agronomiche sostenibili.
Un progetto di sviluppo integrato
La DOP “Nocciola Etnea” si configura oggi come una grande opportunità di sviluppo rurale integrato, dando spazio a tutela del paesaggio, valorizzazione delle varietà autoctone, crescita economica e rilancio dell’agricoltura di montagna.
Come già accaduto per il pistacchio di Bronte o la mandorla siciliana, l’Etna può trasformare la nocciola in un nuovo ambasciatore del gusto siciliano. Un frutto antico che torna protagonista, simbolo di una montagna viva e di una comunità che sceglie di crescere nel segno della qualità e dell’identità territoriale.
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