Riscoperto negli ultimi vent’anni dopo un lungo periodo di oblio, il Clover Club è un classico cocktail sour a base di gin e sciroppo di lampone: fresco e fruttato, è apprezzato tanto come aperitivo quanto nel dopocena, oltre a essere particolarmente instagrammabile in virtù della sua colorazione rosa scarlatto e dei lamponi che fanno bella mostra di sé a guarnire il bicchiere. Nato per un pubblico di soli uomini, ha subito conquistato anche le eleganti frequentatrici dei salotti mondani d’oltreoceano.
La storia e il nome
Il Clover Club è un cocktail che affonda le sue radici nella Filadelfia di fine Ottocento, dove fu creato all’interno dell’omonimo club per soli uomini, frequentato da avvocati, giornalisti e imprenditori che si riunivano nelle eleganti sale dell’Hotel Bellevue-Stratford, all’epoca fra i più famosi ed esclusivi punti di riferimento della mondanità di tutti gli Stati Uniti.
Inventato da Ambrose Burnside Lincoln Hoffman, giovane bartender dell’hotel, il cocktail divenne popolarissimo negli anni ‘30 del Novecento a New York dove fu portato da George Boldt, proprietario del Bellevue-Stratford, dopo avere assunto la presidenza del prestigioso Waldorf-Astoria Hotel, inaugurato nel 1931 a Manhattan.
Successo, declino e rinascita
La prima menzione ufficiale del Clover Club risale al 1909, quando comparve in un manuale di Paul E. Lowe. Nonostante fosse nato per accompagnare le conversazioni dei membri di un club riservato agli uomini, il Clover Club fu tra i primi cocktail apprezzati anche dal pubblico femminile, tanto che nel 1911 il New York Times lo definì “da signora”. Una fama conquistata probabilmente già a Filadelfia dopo che il drink, inizialmente riservato ai soci dell’omonimo circolo, fu inserito nel menù del Bellevue-Stratford, fra i primi hotel di lusso ad aprire le porte del bar anche alle signore non accompagnate da un cavaliere.
Ancora diffuso nel dopoguerra, il Clover Club fu inserito nel 1961 nella lista dei primi 50 cocktail ufficiale dell’International Bartenders Association (Iba). Fu tuttavia rimosso in occasione della prima revisione della lista, nel 1986, quando era ormai caduto in disuso al pari di molti altri eleganti drink classici.
A rilanciarlo, nei primi anni Duemila, fu guarda caso proprio una donna, la grande barlady Julie Reiner, fra le protagoniste della “cocktail renaissance”, che dal 2008 lo propose (anche in una nuova versione, come vedremo) nel suo nuovo locale chiamato proprio Clover Club, a Brooklyn.
Il ritorno di popolarità di questo drink fu tale che, nel 2011, Iba lo reintrodusse nella sua codifica ufficiale, nella categoria “Unforgettables”.
La ricetta Iba del Clover Club
Tecnica: Shake and Strain
Bicchiere: coppetta a cocktail
Ingredienti:
45 ml dry gin
15 ml sciroppo di lampone
15 ml succo di limone fresco
10 ml albume d’uovo
Garnish: lamponi freschi
Preparazione: versare tutti gli ingredienti in uno shaker ed effettuare un “dry shake” per montare leggermente l’albume, quindi aggiungere il ghiaccio, shakerare vigorosamente e versare, filtrando, nella coppetta ben fredda.
Le varianti
Julie Reiner, artefice della riscoperta del Clover Club, ne prepara una particolare versione con 45 ml di dry gin, 15 ml di sciroppo di lamponi, 15 ml di dry vermouth, 15 ml di spremuta fresca di limone e 7,5 ml di albume, con il vermouth secco che va a equilibrare la dolcezza del drink.
Julie Reiner e il Clover Club – Photo Credit: Facebook: Clover Club
Ma torniamo agli inizi del Novecento, quando accanto al Clover Club si diffuse una variante chiamata Clover Leaf. Un drink sostanzialmente identico ma reso più fresco grazie all’aggiunta di 4-5 foglie di menta leggermente pestate nello shaker prima di versarvi gli altri ingredienti; un’altra foglia di menta sulla superficie del cocktail sostituisce i lamponi come garnish.
Si può osare di più: l’Iba, nel suo ultimo ricettario, fra i vari suggerimenti per personalizzare la ricetta indica la possibilità di sostituire il gin con un distillato di lamponi selvatici di Capovilla o di ciliegie, oppure con un’aquavite, un tequila o un bourbon.
Il Clover Club nei libri e in musica
Se il mondo del cinema, finora, non sembra avere mai menzionato il Clover Club, in letteratura il cocktail viene citato dallo scrittore cult americano John O’Hara (anche se in termini poco lusinghieri) in “The Late, Late Show”, storia breve inclusa nel libro “Waiting for winter” del 1966: “Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho sentito qualcuno ordinare un Clover Club? Erano davvero pessimi. Non cattivi come un Martini, ma molto più ingannevoli”.
In musica, cercando su internet, abbiamo trovato notizia di un brano intitolato proprio “Clover Club” del producer giapponese Yuuyu, in cui viene descritta proprio la ricetta del cocktail. E anche di una rock band bielorussa che porta questo stesso nome: purtroppo, complice la scarsa dimestichezza con l’alfabeto cirillico, non siamo riusciti a scovarne un video per poterne valutare il tasso alcolico…
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