Carne coltivata: tra innovazione, resistenze, sfide normative e nuove scoperte scientifiche

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La corsa verso la produzione di carne coltivata è ormai una delle frontiere più dinamiche dell’innovazione alimentare globale. Nato come tentativo di rispondere alla crescente domanda di proteine animali riducendo al contempo l’impatto ambientale e il ricorso alla macellazione, il settore della carne coltivata sta compiendo passi da gigante grazie a importanti progressi scientifici. Ma la sua diffusione, specialmente in Europa e in Italia, incontra ancora numerosi ostacoli.

Quando si parla di carne coltivata si fa riferimento a un prodotto alimentare ottenuto attraverso la coltivazione di cellule animali in laboratorio. A differenza di ciò che il termine “sintetica” potrebbe suggerire, non si tratta di carne artificiale: le cellule provengono da animali vivi, vengono moltiplicate in bioreattori e poi organizzate in strutture muscolari simili alla carne tradizionale. Arricchita con fibre e nutrienti, questa carne, che manca di ossa e di pelle, è pensata principalmente per realizzare alimenti come hamburger, crocchette e salsicce.

L’obiettivo principale è ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, lo sfruttamento di suoli e i consumi di acqua, limitando allo stesso tempo la sofferenza animale. La carne coltivata si propone, dunque, come alternativa più sostenibile rispetto agli allevamenti intensivi, ormai riconosciuti come una delle principali cause del cambiamento climatico.

A livello internazionale, Singapore ha aperto la strada approvandone per prima la vendita, seguita da Stati Uniti e Israele. Anche il Regno Unito si muove in questa direzione, accelerando la stesura di nuove normative per favorire l’immissione sul mercato di carne, latticini e dolcificanti di origine laboratoriale.

In Europa, invece, la situazione è più complessa. Paesi come Olanda, Spagna e Germania investono molto nello sviluppo di tecnologie cellulari, ma la Commissione Europea non ha ancora stabilito regole comuni. Attualmente circa il 40% delle ricerche europee è finanziato da enti privati, mentre l’iter per l’autorizzazione dei nuovi alimenti, gestito dall’EFSA, procede con cautela.

L’Italia, in particolare, ha scelto una via opposta con una legge approvata nel novembre 2023 con cui il Governo ha vietato produzione e vendita di carne coltivata, sostenendo di voler proteggere salute pubblica e tradizione agroalimentare, una decisione che si inserisce in un quadro europeo ancora privo di un chiaro indirizzo normativo.

Innovazioni rivoluzionarie: il contributo israeliano e giapponese

Nonostante le incertezze legislative, la ricerca scientifica sulla carne coltivata continua a produrre risultati straordinari. Uno dei traguardi più recenti arriva da un team israelo-palestinese dell’Università Ebraica di Gerusalemme, che ha sviluppato un’alternativa alla carne tradizionale basata sui metamateriali.

Utilizzando tecniche di stampaggio a iniezione, il gruppo guidato da Mohammad Ghosheh e Yaakov Nahmias è riuscito a creare un prodotto dal sapore e dalla consistenza paragonabili a quelli del manzo o dell’agnello allevati naturalmente.

Questo metodo rappresenta un’evoluzione rispetto alla stampa 3D, poiché consente di replicare tagli complessi come bistecche e costolette in modo economico e scalabile come spiegato in un contributo pubblicato sulla rivista Nature.

Foto di bistecca di wagyu cotta stampata a iniezione (sinistra), costoletta di agnello (centro) e bistecca T-bone (destra).

Grazie alla combinazione di un analogo muscolare a bassa temperatura (Ltma) e di un proteoleogel stabilizzato con proteine vegetali, i ricercatori hanno superato uno dei principali ostacoli: ricreare la complessa struttura della carne vera.

Dal Giappone arriva invece un’altra importante innovazione. Un team di scienziati dell’Università di Tokyo, coordinato da Shoji Takeuchi, ha realizzato un nugget di pollo coltivato dotato di una rete di capillari artificiali, come spiegato nel documento pubblicato sulla rivista Trends in Biotechnology.

Questa struttura, composta da fibre cave stampate in 3D, permette una perfusione costante di nutrienti e ossigeno, migliorando la crescita cellulare e conferendo al prodotto una consistenza simile a quella dei muscoli naturali. Il risultato è un pezzo di carne fibrosa, resistente al morso e molto più simile alla carne animale rispetto ai precedenti esperimenti di coltura cellulare.

Biofabbricazione di tessuto di carne coltivato utilizzando un bioreattore a fibra cava 

Prospettive future: sfide e opportunità

Il futuro della carne coltivata appare ricco di potenzialità, ma non privo di ostacoli. Se è vero infatti che le nuove tecnologie promettono di rendere la produzione sempre più efficiente, consentendo la realizzazione di tagli di carne complessi su scala industriale grazie a innovazioni come lo stampaggio a iniezione e i capillari artificiali che potrebbero finalmente colmare il divario qualitativo rispetto alla carne tradizionale, permangono problemi legati ai costi di produzione, alla scalabilità dei processi e all’accettazione sociale.

Le preoccupazioni legate al consumo energetico e agli impatti ambientali dei bioreattori restano vive, e questo nonostante studi recenti suggeriscano che, su larga scala, la carne coltivata potrebbe ridurre sensibilmente l’uso di risorse rispetto all’allevamento convenzionale.

In Europa, la necessità di un quadro regolatorio armonizzato è ormai urgente. Senza una politica comune, il rischio è che i Paesi più innovativi accelerino, mentre altri rimangano ancorati a modelli tradizionali, perdendo opportunità sia economiche che ambientali.

Intanto la carne coltivata non è più una mera utopia tecnologica, sta diventando una realtà concreta, capace di trasformare il modo in cui ci nutriamo. Il suo successo dipenderà dalla capacità di integrare innovazione scientifica, sicurezza alimentare e sensibilità culturale, in un dialogo aperto tra ricerca, istituzioni e cittadini.

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