Aldea, il nuovo bar-villaggio di Barcellona con il cuore in Messico

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Se pensavi di aver già visto tutto in fatto di cocktail bar a Barcellona, potresti ricrederti. Perché da qualche mese, nel Born, la parte più viva e antica della città, c’è un locale che non assomiglia a nessun altro.

Si chiama Aldea, che in spagnolo significa villaggio. Ma più che un nome, è un’intenzione. Qui tutto è fatto in casa: i distillati, i liquori, i panini, persino i tavoli. E l’accoglienza ha il passo lento e sincero di chi non ha bisogno di effetti speciali per colpire.

L’idea è di Francesco Falco, 31 anni, torinese (“ma ho lasciato l’Italia a 18”) e Silvia Dorninger, austriaca. Insieme da una decina d’anni, hanno girato mezzo mondo dietro il bancone: Londra, Ibiza, Messico, Caraibi, fino a Barcellona, dove Francesco ha lavorato anche al Paradiso, uno dei migliori bar al mondo.

Hanno trovato un locale vecchio che non funzionava più e lo hanno rifatto da capo: travatura, arredi, concetto. Tutto è nuovo, tutto è creato da loro. Nella visione di Silvia, è stato il Messico a cambiare tutto: un mese e mezzo vissuto tra eventi e ispirazioni nella terra dei cenote, grotte sacre per i Maya, dove la luce arriva dal basso e la natura detta il tempo.

Li abbiamo incontrati a Barcellona, in occasione della presentazione del gin messicano Condesa, per parlare di cocktail, di identità, e di quell’urgenza – sempre più rara – di costruire qualcosa con le proprie mani.

Perché avete scelto di chiamare il bar “Aldea”?
Perché volevamo evocare qualcosa di semplice, umano. Un villaggio. Un luogo dove si costruisce, si condivide, si crea. È il nostro modo di lavorare. Abbiamo fatto tutto noi, persino le travi. E lo stesso approccio lo abbiamo portato nei cocktail.

Come siete riusciti a trasportare questa filosofia nei drink?
Distilliamo in casa. Usiamo un alambicco moderno che lavora sotto pressione. Così il liquido bolle a una temperatura più bassa e mantiene meglio gli aromi.

Dammi un esempio concreto di cosa servite al bancone.
Un distillato di nachos, ananas, coriandolo, pompelmo, chipotle e tequila. Oppure uno alle ostriche. Abbiamo una drink list di dieci cocktail, ognuno ispirato a un viaggio o a un’esperienza. Gli ingredienti però sono locali, catalani, e di stagione. Ci riforniamo da una fattoria vicino a Girona.

Anche il cibo segue la stessa logica?
Sì. Facciamo i sando, panini giapponesi. Anche quelli sono fatti in casa. Non ci interessa sorprendere a ogni costo, ma essere coerenti in tutto.

Come vi state facendo conoscere?
Oggi, se non comunichi, non esisti. Abbiamo investito molto in comunicazione, soprattutto nel primo anno. Lavoriamo con due agenzie: una segue i social, l’altra le pubbliche relazioni.

State puntando anche sulle guest?
Sì, assolutamente. È uno dei modi più efficaci per farci conoscere tra chi lavora nel nostro mondo. Abbiamo già stretto accordi con produttori di gin e whisky per eventi, guest shift e masterclass.

Avete già avuto ospiti importanti?
Pochi giorni fa abbiamo ospitato l’Handshake Speakeasy di Città del Messico, attualmente numero uno nei World’s 50 Best Bars. È stata un’esperienza incredibile. A gennaio andremo noi da loro, ma dovremo chiudere per due settimane: siamo solo in tre.

Com’è la scena della mixology a Barcellona oggi?
Vibrante. Sips, Paradiso, tanti bar di qualità. Ma intanto l’Asia sta crescendo: Thailandia, India, Hong Kong. La finale dei 50 Best quest’anno sarà lì. Il bar business si sta spostando, lentamente ma con decisione, verso est.

Noti dei cambiamenti nei gusti dei clienti?
Sì. Il tequila è in crescita costante. Credo che anche il contesto del locale, che richiama il Messico, aiuti.

Quali sono i drink più richiesti?
Quasi tutti ordinano dalla nostra drink list. Pochissima birra. Facciamo cinque Gin Tonic a settimana, forse. Coca-Cola? Non la teniamo.

E i classici, li fate?
Sì, li facciamo e ci piace farli. Ma sempre con una rivisitazione. Con i nostri distillati, per esempio. Piccole variazioni che cambiano tutto.

Me ne racconti una?
Un cliente ha chiesto un Boulevardier. Lo abbiamo servito con lemon verbena e un tocco di distillato alla pera. Più fresco, più nostro.

Qual è il vostro vero obiettivo, con Aldea?
Vogliamo offrire qualcosa di diverso. Non necessariamente migliore, ma autentico. E la nostra gratificazione più grande è vedere un cliente che assaggia un cocktail – magari quello ai nachos – e resta zitto per un secondo. Poi sorride. In quel momento, sappiamo di aver costruito qualcosa che resta.

Leggi l’articolo anche su Horecanews.it e MixologyItalia.com