Non solo tequila e mezcal: Roberto Artusio a Splash racconta la rivoluzione del Messico

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Di distillati di agave e spiriti messicani pochi ne sanno più di Roberto Artusio, il fondatore de La Punta di Roma, tra i locali pionieri nella promozione dei della cultura messicana in fatto di beverage. Lo abbiamo incontrato a Splash e intervistato per discutere dell’evoluzione del settore, delle nuove sfide e delle prospettive future di spirits e bar.

L’intervista

Undici anni fa, quando hai iniziato a lavorare al progetto de La Punta, il settore era molto diverso…
Decisamente. Quando abbiamo aperto La Punta, al di là di Dom Costa, nessuno in Italia puntava sui distillati messicani. Io e Cristian (Bugiada, socio, ndr) abbiamo studiato, viaggiato e stretto contatti direttamente con i produttori. È stata una vera sfida.

Come è cambiata la percezione di tequila e mezcal in questi anni?
All’epoca, il concetto di distillato messicano era ancora legato agli stereotipi: tequila di bassa qualità e mezcal con il verme. Oggi, grazie alla divulgazione e al lavoro di molti professionisti, il mercato è molto più consapevole. Si è sviluppata una cultura che riconosce il valore di questi prodotti, la loro varietà e la loro storia.

In origine la bottigliera della Punta era composta solo da tequila e mezcal, perché oggi invece c’è più varietà?
Il nostro obiettivo resta il medesimo: promuovere il Messico in tutte le sue sfumature. E oggi il Messico non è più solo agave: ci sono whisky messicani prodotti con mais autoctono, distillati di canna da zucchero come la Ciaranda, rum del Michoacán… L’evoluzione della bottigliera segue quella del paese.

A proposito di mercato, quanto incidono i dazi USA sui distillati messicani?
I dazi sono un problema, ma non l’unico. Il vero nodo è il potere d’acquisto del dollaro: l’anno scorso l’agave avrebbe potuto diventare il distillato più venduto negli USA, ma la frenata economica ha rallentato tutto. Importatori e distributori hanno ridotto gli acquisti, e questo ha avuto un impatto forte.

Quali sono i tre locali in Italia che consiglieresti, al di fuori del tuo gruppo?
Domanda difficile! Sicuramente, il Boats di Ortigia, dove mi sento a casa. E poi il Dirty di Ascoli Piceno e il Nick&Nora a Napoli, un locale piccolo ma con un’anima unica.

Gli eventi del settore sono sempre più omologati. Cosa suggerisci per renderli più memorabili?
Basta con le solite guest shift! Io immagino eventi in cui il bartender stia tra la gente, raccontando la storia dei drink, facendo vivere un’esperienza. Il futuro è nello storytelling, non solo nell’esecuzione tecnica.

Quanto conta la musica nell’esperienza di un locale?
Tantissimo. Oggi molti locali sottovalutano l’importanza di una selezione musicale coerente con la propria identità. La musica deve creare un’atmosfera, trasmettere un’emozione e integrarsi con il concept del bar.

Parliamo di trend. La tua opinione sui “Soberbar”?
Nonostante la richiesta crescente di drink low e zero alcool, non punterei su bar di questo genere. Bere responsabilmente è una questione di cultura, non di proibizionismo.

Up & down in fatto di spirits. Che cosa ti aspetti?
Non credo che nel 2025 e 2026 vedremo crescere il mercato di nessun distillato. I consumi sono in calo, non ci sono soldi. E ne è prova che le catene degli hotel di lusso hanno congelato gli investimenti fino al 2027. In generale, aspettiamo tutti il momento giusto per ripartire.

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