BAR, MIXOLOGY E COCKTAIL – Pochi giovani bartender italiani possono vantare un percorso così ricco e internazionale come Niccolò Amadori. Romagnolo nato e cresciuto a Cervia tra sabbia e surf, Niccolò ha fatto della mixology la sua passione e professione e lavorato in alcuni dei migliori locali del mondo. Dopo esperienze significative a New York, Sydney e Milano, ha riportato il suo bagaglio di conoscenze nella propria terra d’origine e fondato un festival che sta attirando sempre più attenzione nel panorama della miscelazione.
L’INTERVISTA
In questa lunga intervista, il bar manager di ALTO Rooftop racconta la sua storia: dalle prime esperienze in Italia alla formazione internazionale tra New York e Sydney, fino alla creazione di Alto Cocktail Festival, che torna a fine giugno con la quarta edizione.
Niccolò, da quanti anni fai questo mestiere?
Precisamente sono sette anni. Ho iniziato molto presto, durante le pause estive del liceo linguistico. Studiare lingue mi ha dato una base solida per le esperienze all’estero, soprattutto per l’inglese, che mi ha aiutato molto a lavorare in città estremamente competitive come New York e Sydney.
Quando hai capito che il bartending sarebbe diventato la tua carriera?
Già a 16 anni, lavorando nei locali di famiglia, ho iniziato a essere affiancato da bartender esperti che mi hanno trasmesso la passione per la miscelazione. Più imparavo, più cresceva il desiderio di viaggiare per apprendere dai migliori.
Dopo il diploma sei partito subito all’estero?
Sì. Sono stato a New York per otto mesi, un’esperienza incredibile che purtroppo ho dovuto interrompere per problemi di visto. Lavorare con professionisti del calibro di Nico de Soto e Takuma Watanabe è stato fondamentale: da Nico, globalmente riconosciuto come uno dei più influenti e preparati bartender del mondo, ho appreso la miscelazione d’avanguardia, mentre Takuma mi ha insegnato l’importanza della diluizione e della temperatura nei cocktail, oltre alla perfezione delle tecniche giapponesi.
Dai grandi maestri alla consacrazione professionale
Tra le tue esperienze formative quali sono state più siginificative?
Al netto del periodo con Nico de Soto e Takuma Watanabe, sicuramente l’esperienza al Ceresio 7 a Milano, dove ho lavorato con Abi El Attaoui e Santino Calderone. È stato il passaggio dal lavoro stagionale a quello professionale, in un’industria italiana molto selettiva.
Nel 2024 hai conquistato con Alto Rooftop due riconoscimenti importanti…
Sì, siamo stati citati nella decima edizione della guida di Blue Blazer, quella del 2024 presentata a gennaio, ed entrati nella classifica dei Top 500 cocktail bar. Due grandi traguardi, che mi spronano a fare sempre meglio. Ricordo ancora la mattina in cui mi sono svegliato con una notifica su Instagram che mi segnalava la nostra inclusione nella lista: è stata una sorpresa incredibile.
La scena italiana della mixology e la voglia di emergere
Come vedi la scena della mixology in Italia?
Purtroppo, il panorama italiano è dominato sempre dalle stesse città: Milano, Roma, Firenze, Napoli e Venezia. Regioni come la Sicilia e zone come la Riviera Romagnola, che hanno tanto da offrire, vengono spesso trascurate. Eppure, ci sono locali e professionisti di altissimo livello.
Per questo hai fondato ACF?
Esatto! Dopo l’esperienza al Ceresio 7, ho sentito la necessità di valorizzare la mixology nella mia zona. Il festival è nato per educare al bere miscelato responsabile e di qualità e per coinvolgere il grande pubblico in questo mondo.
Come si è evoluto Alto Cocktail Festival nel tempo?
La prima edizione era focalizzata solo sulla miscelazione, con sei bartender ospiti. La seconda ha coinvolto 15 professionisti internazionali. La terza edizione, nel 2024, è stata la più grande: cinque giorni con mixology, cucina, sigari e lifestyle.
Cosa ci puoi anticipare della prossima edizione?
Stiamo ancora definendo il format, ma posso dire che la manifestazione durerà sei giorni invece che 5 e sarà ancora più immersiva, con un grande opening e closing party. Al centro della kermesse, serate speciali con mixology, cucina, sigari e lifestyle come lo scorso anno.
Il futuro di Alto RoofTop e della sua stagione
La stagione di Alto inizia ad aprile. Avete novità in arrivo?
Sì, stiamo lavorando per rendere il locale ancora più bello e meno stagionale. Bar e ristorante, con una nuova cucina progettata su misura con lo chef Andrea Vailati alla guida, cambieranno look.
Consigli e confessioni
Per chi non conoscesse la zona, quali cocktail bar consigli?
Sicuramente Aguardiente a Marina di Ravenna, di Jimmy Bertazzoli, un locale unico nel suo genere. Poi Racine a Rimini, che sta valorizzando il territorio con un approccio innovativo. Infine, Hippocampo a Cervia aperto di recente da Omar e Chiara dopo otto anni di esperienza a Londra.
Qual è il tuo cocktail preferito?
Il Negroni e il Boulevardier per l’aperitivo, mentre tra i Sour, amo il Daiquiri. Solo da poco ho cominciato ad apprezzare molto anche il Martini cocktail, grazie agli insegnamenti di Takuma Watanabe, il titolare del Martiny’s di New York, quarto miglior bar in USA, che ha trasformato una rimessa per carrozze a Gramercy, un tempo di proprietà dell’artista Philip Martiny, in un bar a tre piani lussuoso.
E la tua tecnica di miscelazione preferita?
Sicuramente lo stir, perché permette un controllo totale sulla diluizione e sulla temperatura del drink. Takuma mi ha insegnato a usare solo mixing glass in vetro, perché è un conduttore termico più affidabile rispetto al metallo.
Dal passato familiare alle ambizioni future
Alto si trova all’interno di un hotel costruito dai tuoi nonni. Che ruolo ha avuto la tua famiglia nel tuo percorso?
Mio nonno era un costruttore edile e ha realizzato molte strutture della Riviera prima di dedicarsi alla hotellerie. La famiglia ha sempre giocato un ruolo centrale nella gestione. Il nostro resort conta con 120 stanze e una zona di appartamenti ed è ideale sia per soggiorni brevi che lunghi.
Qual è la tua ambizione più grande?
Entrare nella classifica dei 50 Best Bars. Quanto mi piacerebbe calcare il red carpet e indossare la sciarpa rossa della premiazione. È un obiettivo difficile, ma è ciò per cui sto lavorando.
Credits fotografici: Nicole Cavazzuti
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