Roma, via del Babuino. All’elegantissimo Hotel De Russie, uno degli alberghi più raffinati della capitale, ai margini del Roma Bar Show, Giorgio Bargiani ha presentato la Bar/Giani Collection, la sua prima linea di bicchieri da cocktail firmata in collaborazione con NUDE Glass. Un debutto che unisce design e funzionalità, stile e sostanza: bicchieri in cristallo leggero, dalle linee pulite, pensati per esaltare ogni gesto dietro al bancone.
L’evento, riservato e frequentato dai personaggi più celebri della scena (da Patrick Pistolesi a Julio Bermejo), ha celebrato il legame tra design, mixology e ospitalità, in perfetta sintonia con la visione di Bargiani, toscano di nascita e londinese d’adozione.
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Giorgio Bargiani, il talento che viene da Pisa
Giorgio Bargiani ha cominciato in un’osteria del centro di Pisa. Un posto dove impari in fretta, dove il mestiere si fa con le mani e con la testa. Poi l’università, i locali della Toscana, e infine l’hôtellerie di lusso: prima a Portofino, allo Splendido, poi a Le Manoir aux Quat’Saisons, in Inghilterra.
Nel 2014 approda al Connaught Bar di Londra. Lì trova Ago Perrone, un punto di riferimento. Si fa notare, cresce, si distingue. Nel 2018 diventa Head Mixologist. Da allora, insieme al suo mentore, ha continuato a innovare senza mai tradire l’identità del bar.
È finito nella lista “30 Under 30” di Code Hospitality. Ma lui resta quello di sempre: preciso, elegante, con il sorriso toscano e lo sguardo lungo. E, dopo averci preparato un Martini Cocktail, ci ha parlato del suo mestiere, della sua filosofia e del futuro – sempre più consapevole – del bere.
L’intervista
I tuoi drink del cuore?
Martini, Negroni, Piña Colada.
Al contrario, tre cocktail IBA che proprio non ti piacciono?
Sazerac, Sidecar e Vieux Carré.
Che cosa ami del tuo lavoro?
Il contatto e la relazione con la gente, nonostante non sia sempre facile. Ma la gratificazione di vedere gli ospiti sorridere è impagabile.
L’ospitalità è…?
Far stare bene i clienti.
Pensi che negli ultimi anni ci sia stato troppo protagonismo tra i bartender?
Sì. Colpa dell’ambizione, della frustrazione… Oggi ci sono molte più opportunità rispetto a qualche anno fa, e penso che questo stia ridimensionando un certo egocentrismo. E meno male.
Quanto conta oggi la moderazione nel bere?
Tantissimo. Io non sono un fan delle estremizzazioni. Se l’alcol c’è, ha un motivo. Nei prodotti di qualità, ha una funzione precisa: dà corpo, complessità. Non lo ottieni con succhi o acqua. La chiave è la moderazione, non l’eliminazione.
Il segmento low alcol è davvero l’unico in crescita?
Sì, i dati parlano chiaro: è l’unico settore in costante crescita. Detto questo, drink come lo Spritz, l’Americano, il Campari Soda non sono nati per essere “low alcol”, ma perché sono buoni, piacevoli, ben fatti. Il successo non è nella gradazione, ma nel gusto.
E i prodotti zero alcol?
Oggi stanno moltiplicandosi, ma per me è una forzatura. Se togli l’alcol, cambia l’identità del prodotto. Può avere senso, ma va fatto bene. Non sostituisce, semmai integra.
Il brand Italia come è percepito nel mondo londinese del beverage?
Il Made in Italy è sinonimo di qualità. Tutte le coste italiane sono “cool”, oggi. Alla gente piace bere, mangiare e anche vestirsi all’italiana.
C’è entusiasmo, è più di un trend: è uno stile di vita.
Tra i distillati, quali senti oggi più forti a livello globale?
Vivendo in Inghilterra, il gin è sempre dominante. Ma se guardiamo i numeri, la vodka è ancora lo spirito più venduto. L’agave — tequila e mezcal — sta vivendo un grande momento, ovunque. Poi dipende da dove ti trovi, dal contesto locale.
E oggi com’è la situazione a Londra?
Londra vive a cicli. Gli ultimi anni sono stati complessi, ma è resiliente. Si prepara a tornare più forte che mai.
Ma non provi mai nostalgia dell’Italia?
Londra ha sei aeroporti. Quando ho nostalgia, prendo un aereo!
Per due anni di fila sei stato il miglior bar del mondo con il Connaught. Che cosa pensi dei 50 Best Bars?
I 50 Best aiutano a far conoscere l’industry, sono una leva per la cassa e contribuiscono ad avvicinare le persone al nostro mondo.
Tuttavia, non devono diventare il primo e unico scopo degli imprenditori. Altrimenti possono diventare tossici, se non gestiti con equilibrio.
Leggi l’articolo anche su Horecanews.it e MixologyItalia.com