Lo scorso giovedì 5 giugno, da Moebius Milano, non si è solo bevuto: si è viaggiato.
India e Sri Lanka sono saliti dietro al bancone, con le mani piene di spezie, storie e visioni. Tre guest in contemporanea, per tre scoperte nel segno del bere miscelato, tra cui Pankaj Balachandran.
Viene da Goa, dove ha fondato il Boilermaker. Parla di cocktail semplici, freschi, “smashable”. Ma racconta, in realtà, di un Paese intero che cambia, che impara a bere con gusto e consapevolezza.
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L’intervista
Pankaj, presentati brevemente.
Mi chiamo Pankaj Balachandran e sono uno dei fondatori di Boilermaker a Goa. Goa è una piccola città balneare nel sud dell’India, molto amata anche in Italia. Un tempo era una tappa iconica per i viaggiatori hippie, oggi è una destinazione turistica internazionale, viva e piena di influenze.
Quando è nata la tua passione per la mixology?
Mi sono avvicinato seriamente al mondo dei cocktail circa dieci anni fa. Il mio primo bar, Tesouro, è arrivato al 4º posto tra i migliori bar d’Asia secondo i 50 Best. Dal 2024 porto avanti Boilermaker con la stessa passione.
Com’è lo scenario mixology in India?
L’India sta vivendo una vera rivoluzione del bere, e il fermento è ovunque.
Quando è iniziata questa “golden age” in India?
Direi intorno al 2010. All’epoca c’era forse un solo cocktail bar di riferimento. Nel giro di poco, intorno al 2015, erano già sette-otto; oggi è impossibile contarli. Ogni città ha i suoi bar. È un momento straordinario per l’industry indiana.
Come descriveresti la tua filosofia di miscelazione?
Per me, ogni drink deve essere “smashable”: facile, fresco e gustoso. Con un clima come quello di Goa, caldo e umido, non sono indicati cocktail troppo pesanti o molto alcolici. Il mio obiettivo è creare drink che le persone vogliano ordinare due volte. Qualcosa che accompagni la serata, senza dominarla.
Quindi solo low ABV?
Non necessariamente. Adoro i drink più importanti come il Negroni, ma so che il mio pubblico preferisce qualcosa di più leggero e accessibile. Non necessariamente “low alcohol”, ma sicuramente “easy to drink”.
I tuoi tre cocktail preferiti?
Martini, Negroni e un mio signature che si chiama Peas Cosava. Tutti intensi.
Quello che proprio non sopporti?
Il Long Island Iced Tea. Non fa per me.
È la tua prima volta in Italia?
Sì, sono arrivato due giorni fa e rimarrò per altri dieci. Amo il modo in cui qui si vive il cibo e la cultura. L’invito al Moebius è nato grazie alla rete globale della mixology: ci si incontra ai premi, agli eventi… e da lì nascono le collaborazioni.
Come si stanno evolvendo i gusti in India?
Negli ultimi cinque anni c’è stato un vero boom del gin, che ora è in lieve calo. Al contrario, tequila e mezcal stanno crescendo. Il whisky resta stabile, il rum tiene bene, mentre la vodka è in leggera discesa.
E il trend del no/low alcohol?
Sta arrivando anche in India. Dieci anni fa nessun bartender avrebbe preparato un analcolico, oggi nei miei bar ci sono sei proposte no-alcol. I consumatori sono più consapevoli. Detto ciò, il no-alcol in India è ancora un segmento piccolo, sotto il 5%.
Quanto conta entrare nei 50 Best?
Tantissimo, sia per la visibilità sia per la reputazione. Ma io costruisco i miei bar pensando prima di tutto al pubblico locale. I premi aiutano a farci conoscere nel mondo, ma la base resta sempre la stessa: ospitalità, qualità e costanza.
Cosa pensi del futuro della mixology asiatica?
Credo sia il momento dell’Asia del Sud. India, Sri Lanka, Nepal hanno ingredienti unici: spezie, profumi, sapori autentici. È il nostro tempo per brillare, anche se al momento l’attenzione resta su Cina e Giappone.
Photo Credit: Nicole Cavazzuti
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