Lorenzo Manconi: dalla Sardegna a Londra. Intervista al bartender rivelazione della Palermo Cocktail Week

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La Palermo Cocktail Week è stata una bellissima esperienza. La seconda edizione, dopo il debutto l’estate scorsa, ha rappresentato una sorta di puntata zero di una manifestazione che promette molto bene e che vuole crescere. Entusiasmo e competenza ci sono, e se non mancano aspetti migliorabili, di certo è stata un’occasione unica per conoscere nuovi bartender e prodotti nonché per provare interessanti ricette, tra rivisitazioni e inedite creazioni.

L’accoppiata che più ci ha colpito è stata quella tra il bartender Lorenzo Manconi e il liquore Cadello 88 (realizzato in Trentino da una distilleria a conduzione familiare che vanta una tradizione di 168 anni, con otto ingredienti provenienti dall’Italia e dall’antica Via della Seta), protagonisti di due serate organizzate, rispettivamente, da Cantavespri e Mini Market, nuovissimo secret bar aperto due settimane fa.

Se Cadello 88 ci ha sorpresi per l’affinità con la Chartreuse e per la duttilità nella mixology, il suo front man Lorenzo Manconi ci ha stregati con la sua caparbietà, energia e passione. Sardo, 30 anni, da poco più di 12 mesi vive in pianta stabile a Londra, dove attualmente è head mixologist del Florattica, rooftop bar dell’elegante hotel Canopy by Hilton.

L’INTERVISTA A LORENZO MANCONI

Da quanto tempo lavori nel mondo dei bar?
Circa 15 anni. Ho iniziato da ragazzino nei baretti di paese della mia zona (sono cresciuto a Calangianus, a una quarantina di minuti di strada da Olbia): in poco tempo, quello che era un lavoretto nel doposcuola è diventata una passione, che mi ha portato nelle stagioni estive dietro ad alcuni dei più prestigiosi banconi della Costa Smeralda. A partire dal Phi Beach, considerato fra i migliori beach club al mondo: ho esordito come barback e sono arrivato al ruolo di secondo barman. Facevo 800-900 drink a sera…

E poi sei partito per Londra.
Per anni, dal 2016, ho alternato le estati nei club in Sardegna con le stagioni invernali nei locali di Londra. Da circa un anno sono stabilmente nella capitale britannica, dove lo scorso marzo sono approdato al Florattica, bellissima realtà all’undicesimo piano di un Hilton hotel.

Come è cambiata la città in questi anni?
Quando vi arrivai la prima volta, Londra era la Mecca di ogni bartender: c’erano ancora Simone Caporale e Alex Kratena all’Artesian, Marian Beke al Nightjar… Anche il peggior bar era a un livello superiore rispetto al resto del mondo. Dopo la Brexit è cambiato molto: non si trova più personale e il settore ha subito un vero tracollo, come testimonia la sparizione dei locali londinesi dai vertici di classifiche come i World’s 50 Best Bars. Oggi è Barcellona la capitale europea della mixology.

Stai dicendo che punti a trasferirti in Catalogna?
Non lo so, davvero. Non sono uno che pianifica. Potrei svegliarmi domattina e decidere di andare chissà dove… Certo, a Londra guadagno bene (ma sono anche un campione a spendere…), ma non è questo il punto: anche in Costa Smeralda guadagnavo bene, però non avevo grandi stimoli e il mio lavoro non aveva la considerazione di cui gode all’ombra del Big Ben dove un bartender è rispettato come un vero professionista.

Il tuo obiettivo per il prossimo futuro?
Un anno fa avrei risposto “aprire un locale”. Oggi vorrei innanzitutto riuscire ad allontanarmi un po’ dall’operatività al banco per dedicarmi di più alla creazione, dietro le quinte. Nonostante, per carattere, io sia una prima donna: mi piace stare sul palco, farmi vedere… Non a caso, ho fatto anche il cantante.

Hai mai fatto flair?
Sì, nei club in Sardegna, anche se mi reputo più un craft che un flair bartender. Penso comunque che il flair aiuti a sviluppare la velocità e la sicurezza in te stesso, ma debba rimanere un contorno, non la parte principale del lavoro. Poi, certo, dipende dal tipo di locale.

Come riesci ad armonizzare gli orari del bar notturno con la vita privata?
In realtà, la mia vita privata non esiste senza il bar. E questo complica molto le relazioni personali.

Sei fidanzato?
Non più, per l’appunto. Ho avuto relazioni sia all’interno che all’esterno di questo settore, ma finora nessuna ha funzionato granché. La verità è che in questo momento mi sto concentrando moltissimo per farmi conoscere ed emergere ulteriormente sul piano professionale. E mi sono dovuto arrendere all’evidenza che, se voglio raggiungere quell’obiettivo, per ora devo mettere da parte la vita privata. Non si può avere tutto.

Oltre a non essere semplice, la vita del bartender di notte è piena di tentazioni pericolose, dall’abuso di alcool alle droghe. Come si mantiene l’equilibrio, secondo te?
Dipende da dove si lavora. A Londra, anche nel più pazzo dei club, c’è sempre stata tolleranza zero per l’alcool sul lavoro, sebbene ora, a causa delle difficoltà nel reperire personale, ci sia un po’ meno rigidità. Se poi parliamo di droghe, è indubbio che la cocaina circoli, inutile far finta che non sia così. Personalmente, faccio questo mestiere perché mi piace e lavoro sempre con il sorriso anche quando si fa sentire lo stress, senza assumere sostanze. Intendiamoci, sarei ipocrita se dicessi di non avere mai fatto la cazzata di bere un po’ troppo, può succedere, magari in un momento problematico. L’importante è saper riprendere subito il controllo, concentrarsi sugli obiettivi. In 15 anni ho sacrificato tutto per questa professione: vacanze, amici, feste in famiglia. Sarebbe stupido rischiare di buttare via tutto proprio ora che inizio a raccogliere qualche soddisfazione.

Hai detto che ti piace stare sul palco: vorresti arrivare a quello dei World’s 50 Best Bars?
No, non è la mia ambizione. È sicuramente una classifica importante e sono convinto che quasi tutti coloro che ne fanno parte lo meritino davvero. Però non credo molto nelle chart, per lo più fatte dai brand: la percezione di un bar è soggettiva, quello che è il migliore al mondo per te potrebbe non esserlo per me. Per lo stesso motivo, in 15 anni di carriera ho partecipato solo a un paio di competition (la terza la farò prossimamente proprio per Cadello 88). Potrò dire di avere raggiunto il traguardo, in termini di notorietà, nel momento in cui qualcuno, bevendo un drink fatto da me, lo riconoscerà subito. Lavoro per la gente, per farla stare bene: le valutazioni dei giudici, sinceramente, non mi interessano.

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